Non mi iscriverò al partito dei mercenari, di coloro cioè che in questi giorni stanno tacciando il
Pocho Lavezzi di essere tale. Anzi, io ringrazio, ed invito ai tifosi azzurri a farlo, l’asso argentino per quanto ha saputo fare e darci in questo quinquennio. E’ stato un rapporto professionale molto intenso, che va al di là del semplice rapporto di lavoro ma che è stato un rapporto di identificazione totale di una città, di una maglia con il proprio campione.
Grazie ad una grande intuizione di Pierpaolo Marino cui l’aveva raccomandato Ramon Diaz, gran giocatore al cospetto di Dio negli anni italiani, suo allenatore al San Lorenzo di Almagro, arrivò in Italia da fresco campione d’Argentina, non certo da sconosciuto come Chavez o Fideleff, dopo aver vinto il campionato di clausura del 2007, acclamato come il miglior giocatore della Primera Division. Quello che oggi si dice con termine abusato un top player, ma del tutto da verificare, sia per la giovane età in un Napoli matricola tutta da scoprire, sia perché i campioni del Sudamerica devono sempre passare al vaglio delle difese italiane prima di affermarsi. Fu pagato una miseria, 6,7 milioni di euro, quando il giorno dopo la firma della sua cessione da parte del San Lorenzo un club russo già aveva rilanciato a 10 milioni.
Firmò un contratto per 700 milioni di euro, e nei suoi anni napoletani De Laurentiis ne ha frenato le voglie di guadagno portandolo mano a mano a 2 milioni. Dopo 5 anni, arrivato all’età di 27 anni festeggiati pochi giorni fa, ora se ne va in Francia a Parigi per guadagnare in 4 anni quasi 20 milioni di euro netti tra ingaggio e benefits. E’ evidente che è nell’età giusta per monetizzare il suo penultimo contratto, quello più importante, quello della maturità prima del declino tecnico-agonistico, quello che lo renderà ricco per la vita. E’ di tutta evidenza che il Napoli non avrebbe potuto trattenerlo, avendo il PSG offerto al Pocho più del doppio di ingaggio, anche alzando il tetto del salary cap che il Napoli ha istituito come necessità di bilancio non eludibile.
Ma c’è di più: Lavezzi era non a caso l’unico giocatore azzurro con una clausola rescissoria contrattuale. Questo la dice lunga sulla complessità di rapporti tra il giocatore argentino ed i suoi procuratori da una parte ed il Presidente De Laurentiis dall’altra. C’erano segnali forti d’insofferenza da entrambe le parti, ed in questi anni si sono manifestati apertamente. La lettera contro Pierpaolo Marino colpevole agli occhi del giocatore di non aver rispettato la parola di un aumento di stipendio, la rapina subita dalla sua fidanzata, l’impossibilità di uscire per Napoli senza creare asfissianti bagni di folla, come all’epoca era già successo per Maradona, tanto da fargli apparire ai suoi occhi l’amata Napoli come città invivibile, tanto era l’identificazione della gente (e del merchandising aziendale) con lui, il fuoriclasse venuto dall’amata terra dei fratelli argentini che ci aveva donato il più grande giocatore di sempre. Tutto questo gli aveva creato dei mal di pancia, ma non erano i soli. Anche il Presidente era stufo di certi comportamenti, le squalifiche procurate artatamente per anticipare le vacanze di Natale o estive in Argentina, lo sputo a Rosi che costò 3 giornate di squalifica nel momento topico della stagione che lo mise out nello scontro diretto di San Siro col Milan quando il Napoli era ancora teoricamente in corsa per lo scudetto, certe intemerate notturne a caccia di donzelle e di alcolici (molto gettonato “el fernandito”, fernet e coca cola molto in voga in Argentina), sulla scia proprio del mitico Diego. Il Presidente in verità non ha mai amato molto il Pocho, considerato genio e sregolatezza, mentre ha sempre stimato in maniera totale Hamsik e Cavani, entrambi professionisti a tutto tondo e di 2 anni più giovani dell’argentino. Particolare questo non da poco, perché hanno ancora tempo per monetizzare un contratto importante, con la possibilità di restare a Napoli ancora 2-3 anni prima di fare il Grande Salto. Per il Pocho no, era arrivata l’ora.
E dico di più: era giusto cederlo. Per tre importantissime ragioni: perché non poteva dare di più, innanzitutto. Lo dico da lavezziano critico: è stato un giocatore che ha segnato un ciclo, i primi 5 anni di ritorno in serie A dopo il Basso Medioevo della storia napoletana. Ma è stato un giocatore che in 5 anni non ha mostrato segni di miglioramento, non si è mai compiuto come fuoriclasse, pure essendo uno spacca-partite, pur essendo un apripista, pur essendo un assist-man, pur rendendo la squadra Lavezzi-dipendente, grazie alle sue volate ed incursioni palla al piede. In secondo luogo, perché ha nelle gambe non più di 8 gol a campionato, una decina a stagione considerate le coppe, e non è ha di più, come la sua storia dimostra. Per una seconda punta, è troppo poco, specie se deve essere un campione di prima grandezza. Per di più è troppo anarchico, è un atipico non gestibile facilmente, non avendo una zona del campo definita dove operare (ma io penso che il meglio di sé lo dà quando gioca ala sinistra, legato alla banda). In terzo luogo, il suo gioco è troppo legato all’esplosività, avendo una tecnica a dir poco approssimativa seppure dotata di colpi di genio, e l’età che avanza per chi fa dell’esplosività il suo punto di forza lo destina ad un più veloce declino. E’ probabile quindi che il meglio di sé lo abbia già dato. Infine, una società importante deve sapere quando è il momento di chiudere un ciclo. Una squadra è importante quando acquista, ma anche quando vende. Come mostrò Moggi, che cambiò Vieri con Inzaghi, Zidane con Nedved, ci guadagnò e vinse ancora di più. Cinque anni sono un ciclo compiuto. Maradona, per esempio, in 5 anni ha dato il meglio di sé al Napoli, se si esclude il primo anno d’ambientamento (a Natale il Napoli era in fondo alla classifica) e l’ultimo manco concluso dove fece poco per risaputi motivi e scappò a marzo. Platini ha mostrato le sue meraviglie al mondo in bianco e nero in 5 anni, non di più. I Grandi giocatori lasciano il segno per 5 anni, o giù di lì. Ma quegli anni restano nella storia e nella memoria. Ora il Napoli si priva di Lavezzi per circa 26 milioni di euro, milione più milione meno, dopo averlo ammortizzato per 5 anni e pagato poco più di 6. Un saldo netto di quasi 20 milioni tra costo d’acquisto e prezzo di vendita, ma considerato gli ammortamenti effettuati anche di più. Al netto dell’acquisto di Pandev, al Napoli in cassa restano circa 20 milioni. Un affare irripetibile, da fare subito. Ringraziando il Pocho per quanto ci ha fatto sognare, divertire, ed anche arrabbiare, in questi lunghi e meravigliosi anni di scalata al potere calcistico. Ci mancherai, Ezequiel Lavezzi, scugnizzo d’Argentina assurto agli Champs Elysées. Ma era giusto lasciarci, così, serenamente, senza rancore. Adios, e buona suerte.
Umberto Chiariello
RispettaloSport.it