DIMARO (TRENTO), 26 luglio - Domani festeggerà il suo ventiquattresimo compleanno. «Ma il regalo da Martina l’ho già ricevuto - confessa Marek Hamsik - Un lancio con il paracadute da tremila metri. L’ho fatto prima di presentarmi in ritiro. Neanche un po’ di paura, solo tanta emozione. Volare è bello». Già, volare. Volare nel cielo dipinto di blu. Perché la carriera del campione slovacco è nata e proseguita all’insegna dell’azzurro: quello dello Slovan Bratislava, poi quello del Brescia, quindi quello del Napoli. «Con un’altra maglia non mi sarei rivisto quest’anno. Voglio disputare un grande campionato con il Napoli e fare bene in Champions. Poi, in futuro, chissà. Ma Napoli è la mia seconda casa. Io, Martina e Christian ci viviamo bene, a dispetto di quello che si dice in giro. Abbiamo pochi amici. Ci divertiamo a girare per via dei Mille e via Chiaia a fare shopping. Ci piace l’affetto della gente anche se a volte diventa soffocante». Hamsik si sente un ragazzo nato adulto: «Ho cominciato da piccolo ed ho vinto già tanti trofei. Sono diventato capitano della nazionale slovacca. Ho partecipato ad un Mondiale. Ho ancora tanta strada davanti a me». Domani si collegherà con Martina e Christian via Skype. Potrà ricevere così gli auguri ascoltando e vedendo i suoi due amori. Marek e Martina stravedono per Christian che è nato a Napoli, «e presto gli insegnerò qualche parola in dialetto napoletano». Così come stravedevano Richard e Renata quando a soli diciotto anni in casa Hamsik arrivò Marek, successivamente Michaela.
LE PRIME SCARPETTE - Fu nonno Ivan a fargli trovare nella culla le prime scarpe da calcio: «Mio nonno andò a comprarle in Ungheria perché solo lì si potevano trovare. Le conservo ancora». Predestinato, a dir poco. Il campione del Napoli dove seguire le orme del padre, fare il calciatore e possibilmente diventare più bravo del papà che pur avendo grandi qualità tecniche era arrivato fino alla serie B slovacca. Mamma Renata, invece, manager di una catena di abbigliamento, voleva che studiasse e giocasse a pallamano. La spuntò, invece, Richard. «Mio padre è stato fondamentale per me - confessa Marek - A quattro anni mi iscrisse al settore giovanile dello Jupie Podlavice. Qui ho fatto tutta la trafila. Ed in una partita di Allievi segnai sedici gol. Avvenne contro la Dolna Strehova. Rimane un record in Slovacchia». Ma papà Richard è stato più severo che dolce: «Mi allenava lui, mi sgridava, mi martellava, mi accompagnava a scuola. Ma io non volevo saperne di studiare. A scuola non ero tanto bravo. Facevo un giorno tra i banchi ed un giorno al campo. Ma i miei genitori mi hanno fatto sentire adulto già a tredici anni».
CDS
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