Il Grande Fratello, a quei tempi, c’era già: bello come mamma l’aveva fatto e bravo come da papà aveva ereditato, un uomo in carne ed ossa da ammirare, da osservare da vicino e non dal buco della serratura della tv del Terzo Millennio. Il Grande Fratello, in arte Fabio Cannavaro, all’epoca era già una star che con la maschera sfoggiata agli Europei del ‘98, si prendeva le copertine. Parma-Napoli non è una partita di calcio ma l’amarcord d’una vita – pardon, due – il film della giovinezza da srotolare nelle ore della vigilia, mentre s’attraversa la città e Paolo il calvo – per scelta – ritrova se stesso.
L’ARRIVO - L’autunno di quattordici anni fa, accade tutto all’improvviso, perché per salvare quel Napoli, Corrado Ferlaino scova una soluzione alternativa: c’era da far cassa, in Primavera stavano sbocciando due talenti – Cannavaro jr e il portiere De Lucia – che a Calisto Tanzi interessavano. Cash, affare fatto: una manciata di miliardi e la meglio gioventù di quella generazione prende la valigia e parte. Paolino ha diciotto anni, un futuro da svelare e un maestro fatto in casa al quale rubare il mestiere. E il 14 maggio del 2000, si piomba in una nuova era: il testimone passa da un predestinato al pallone d’oro al proprio erede, fa tutto Malesani che sul 3-1 di Parma-Lecce dà il via alla staffetta, affinché ci sia sempre almeno un Cannavaro in campo.
L’EMOZIONE - Il blog della memoria racconta d’una giornata indimenticabile, segnata dalla felicità controllata di Paolino che ha uno ed un solo idolo nella sua esistenza: «Sono cresciuto guardando mio fratello, che per me rimane il più forte in assoluto. E dargli il cambio è una soddisfazione doppia, tripla. E’ un motivo d’orgoglio per tutti noi Cannavaro, ma soprattutto per me. Però, niente accostamenti». Cannavaro II, il pallone d’argento de la Loggetta, avanza da sé, mettendoci la faccia, il fisico ed anche un carattere ridondante, perché andare in giro con quel nome è un peso: incurante, Cannavaro resta a Parma, va a Verona, poi torna al Tardini, incrocia Prandelli, diventa talmente amico di Mutu da chiamare Adrian suo figlio.
IL REVIVAL - Cinque anni dopo, sarà sempre la solita, maledetta (e anche benedetta) domenica per Cannavaro, cresciuto all’ombra del fratello e poi splendente di luce propria. Però, nell’albergo della vigilia, sarà una processione come sempre, perché Parma è stata veramente la sua seconda dimora; e ci sarà modo per rievocare ogni passaggio di quell’era, la maturazione facilitata?dall’esempio di un mostro di bravura che se l’è coccolato in casa, nella villetta poco distante dal cuore d’una città che li ha adorati.
L’ADDIO - Non ci fu strappo neanche all’addio, nell’estate del 2007, quando Paolo Cannavaro, in scadenza di contratto, colse l’occasione e diede sfogo al richiamo del cuore: la cosiddetta scelta di vita. Napoli chiamò e lui disse immediatamente sì a Pierpaolo Marino, perché il sogno coltivato nella culla e poi raccontato a Fabio nelle loro interminabili serate e da sempre confessato a Cristina sua moglie, si poteva realizzare: «Ho l’ambizione di giocare nella mia squadra: il Napoli. Poi, magari, un giorno, diventarne un capitano». E’ andato oltre le duecento presenze, è andato aldilà dei confini, ha la Champions nelle orecchie e Parma che bussa sull’uscio dei ricordi. Va pensiero sull' ali dorate.
Fonte:CDS
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