Un Napoli così in alto, Bigon, se l'aspettava?
«Domanda, eventualmente, da rifare a marzo, aprile. Perché dopo due giornate di campionato e una di Champions, non azzardo valutazioni né entusiastiche né pessimistiche. Troppo presto».
Giriamo al largo: pensava mai che questo Napoli fosse così autorevole?
«Avevamo ben chiare le attitudini caratteriali e le caratteristiche tecniche del gruppo, sapevamo dello spessore dei ragazzi: però è vero che prestazioni come Manchester e come quella con i campioni d'Italia del Milan danno soddisfazione e aiutano la crescita».
Come è nata questa squadra da scudetto?
«Bel trappolone, questo: da scudetto lo dice lei....».
Veramente lo dicono Lippi, Zoff, Mauro, Damiani, Altafini, il calcio intero (quasi)...
«Mi limito a sottolineare com'è nato questo Napoli, ch'è figlio d'un lavoro d'equipe. E' il Napoli d'una società che si confronta, che analizza, che rispetta i ruoli. E' il Napoli d'un presidente ambizioso, che ci lascia carta bianca: non c'è, in questa squadra, un calciatore che non fosse stato scelto da me o da Mazzarri».
Il colpo più complicato?
«Il più estenuante, ed è noto: Inler. Ma in lui c'è sempre stata la volontà precisa di aderire alla nostra idea. Il suo entusiasmo non è mai mancato. E' evidente che in fase di trattativa possano sorgere problemi, ma sono stati risolti».
Il colpo più semplice?
«Pandev, senza ombra di dubbio. Un minuto di colloquio: ti piacerebbe? Sì. Poi De Laurentiis ha telefonato al presidente dell'Inter, Moratti, ed abbiamo chiuso».
Il rimpianto?
«Nessuno, perché abbiamo centrato gli obiettivi. Con Criscito è andata così, ma sono fatalista e penso che il destino abbia voluto separarci: ne abbiamo preso atto, ma non c'è malanimo».
Eravate su Vidal...
«Non scendo nei particolari delle trattative, perché mi sembrerebbe inelegante. In termini generali, abbiamo lasciato perdere ogni colloquio con calciatori che sembravano perplessi dinnanzi al nostro interessamento. A quel punto, abbiamo virato».
L'impressione generale, a giugno, sosteneva l'ipotesi che uno dei tre tenori potesse partire.
«E alla distanza la verità è stata un'altra: i gioielli sono rimasti qua. Anche perché la loro volontà era precisa: continuare in questo Napoli, divenuto sempre più intrigante. La loro è stata una scelta precisa, che ha provveduto a tener lontani insieme alle dichiarazioni di incedibilità del presidente - eventuali corteggiatori».
Ora si può (riba)dire: Manchester City e Zenit San Pietroburgo s'erano spinte oltre per Lavezzi?
«No comment. Per me vale la realtà che viviamo, non quella che si può intuire o dedurre. E poi il mercato è questo. Ma nel Napoli ci sono ancora Cavani, il Pocho ed Hamsik, uomini che hanno espresso il desiderio di rimanere al centro d'un progetto d'un club credibile e carico di aspirazioni».
Quanto incide, ovviamente in positivo, il rapporto talmente solido, fraterno, tra lei e Mazzarri?
«Una premessa mi sembra doverosa: mi stupisco che in questo mondo, e intendo il calcio, ci si stupisca d'un rispetto reciproco e di una sintonia assoluta tra due figure così rilevanti all'interno d'una società. Con Mazzarri abbiamo un'intesa che si è consolidata negli anni, frequentandoci assiduamente ed avendo una visione del lavoro simile, identica. Ma anche con altri tecnici sono andato d'accordo. E' il mio modo di essere».
Torniamo alla costruzione del Napoli, all'estate, a certe esigenze sorte in corso: si rompe Britos...
«Ed in tre giorni abbiamo dovuto integrare l'organico. La bontà dell'organizzazione ha consentito di individuare in Fideleff il giovane su cui puntare. Vedere centinaia di partite, fare migliaia di chilometri, avere un quadro ampio, internazionale delle risorse è stato decisivo e di ciò devo dare atto a Micheli, a Mantovani, a Zunino, il nostro gruppo di lavoro scouting».
Volevate Juan....
«Ma con il Brasile è più complesso definire una trattativa e tre giorni non sarebbero bastati. Vero che Juan è di grandi prospettive, un ‘91 di gran livello; ma Fideleff ha solo due anni in più ed ha già giocato».
L'addio a Victor Ruiz ha lasciato perplessi...
«Un affare economico, certo. E poi una valutazione complessiva: Ruiz è calciatore di indubbio valore, tant'è vero che è titolare nel Valencia, che finirà per trovar posto tra i convocati della nazionale spagnola; però va anche detto che talvolta le caretteristiche di un calciatore possano non sposarsi con quelle di un club o persino di un Paese. Lui per noi rimane di enormi prospettive, però forse è la Spagna si adatta di più alla sua indole».
E, come spesso accade, avete virato di nuovo in Sud America...
«La mentalità degli argentini in particolare ha enormi affinità con il modo di pensare napoletano; ma anche uruguagi e comunque sudamericani in genere. Un calciatore del Nord Europa si ambienta con difficoltà maggiori».
Ha vinto uno scudetto da bambino e uno da adulto...
«Avevo otto anni quando mio padre, Albertino, conquistò la stella con il Milan; ne avevo qualcuno in più quando trionfò sulla panchina del Napoli. Ma so che c'è un altro tranello: io penso al Chievo, alle difficoltà che può creare un avversario che ci ha battuti due volte su due, l'anno scorso. Non so cosa accadtà al Bentegodi e lei vuol farmi sbilanciare sull'esito del campionato?».
CDS
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